Notule
(A cura di LORENZO L. BORGIA &
ROBERTO COLONNA)
NOTE E NOTIZIE -
Anno XX – 13 maggio 2023.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale
di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a
notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la
sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici
selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori
riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.
[Tipologia
del testo: BREVI INFORMAZIONI]
Primo
intervento sul cervello in utero: operata una malformazione VOGM. Le malformazioni cerebrovascolari
VOGM (vein of Galen
malformation), presenti in misura di 1 su 60.000
nascite (AHA), determinano un grave peggioramento dopo la nascita, per questo è
stato definito un protocollo di intervento sperimentale trans-uterino per 20
casi: Darren Orbach, condirettore del Centro di
Chirurgia Cerebrovascolare del Boston Children’s
Hospital, ha operato Denver Coleman a 34 settimane e due giorni di gestazione –
primo caso al mondo – dopo la diagnosi ecografica di VOGM alla trentesima
settimana. L’intervento è perfettamente riuscito, la bambina è in condizioni
fisiologiche ottimali e non è stato necessario istituire alcun trattamento
farmacologico. La pre-pubblicazione online di questi giorni è su Stroke.
[Fonte: Darren Orbach for LiveScience May 6, 2023].
Finita
l’emergenza mondiale, ma SARS-CoV-2 continua a mutare e mietere vittime. La dichiarazione di fine
emergenza straordinaria negli USA è dello scorso giovedì 11 maggio, mentre la
WHO l’ha anticipata al 5 maggio, come termine della PHEIC, ossia il più alto livello
di allarme previsto. Ma Tedros Ghebreyesus,
il direttore generale della WHO, ha raccomandato di monitorare con attenzione
la malattia mediante gli apparati di sorveglianza, con l’esecuzione di tamponi
diagnostici e isolamento degli affetti, conservando atteggiamenti di protezione
personale, soprattutto per le categorie a rischio. Si registra ancora la morte
di 10.000 persone al giorno e si stima che il numero reale sia almeno triplo;
in massima parte le persone decedute hanno più di 65 anni. Alla conferenza
stampa di annuncio, Tedros Ghebreyesus
ha dichiarato: “La cosa peggiore che un paese possa fare ora è usare questa
notizia come scusa per abbassare la guardia”.
Dall’inizio
della pandemia, la WHO ha registrato circa 7 milioni di decessi da COVID-19 e
stima che il numero reale possa essere intorno ai 20 milioni. Ghebreyesus ha ricordato che nella settimana fino al 5
maggio l’infezione da SARS-CoV-2 portava via una vita ogni tre minuti, solo per
quanto ne sappiamo.
La
nostra società scientifica raccomanda ancora prudenza e adozione di tutte le
precauzioni ordinarie per ridurre la diffusione del contagio. [Fonti: WHO e
BM&L-International, May, 2023].
Gli
organoidi cerebrali umani potrebbero essere riconosciuti come persone? Allo stato attuale delle possibilità
della ricerca, gli organoidi cerebrali mancano ancora di troppi requisiti
perché si possa immaginare che una loro crescita guidata da perfetti piani di
sviluppo tridimensionale microscopico e d’insieme possa generare veri e propri
cervelli; tuttavia, questo traguardo è all’orizzonte di progetti futuri e,
prima che si giunga a poter riprodurre in laboratorio un cervello umano,
sarebbe opportuno disporre di un preciso quadro normativo, che preveda tutti
gli aspetti più delicati e inquietanti cui si dovrà far fronte in futuro. Masanori Kataoka e colleghi hanno
affrontato questo tema, avviando il dibattito nella comunità scientifica
internazionale. [Cfr. Journal of Law and the Biosciences 10 (1): lsad007,
J.-June 2023].
Come
il fattore di trascrizione intestinale ATF4 si lega a stress e
depressione da stress.
Molti studi indagano i meccanismi molecolari che, attraverso l’asse
intestino-cervello, contribuiscono alla genesi di disturbi da stress e
depressione. Feixiang Yuan e colleghi hanno accertato
che ATF4 (activating transcription
factor 4) dell’epitelio intestinale ha un ruolo
importante nei comportamenti indotti da stress. Nel topo, lo stress
cronico causa un deficit di ATF4 intestinale, che riduce i livelli di TFF3,
che a sua volta attiva i neuroni glutammatergici paraventricolari del talamo per
influenzare i comportamenti associati a stress. L’iniezione di TFF3
corregge le manifestazioni da stress nei topi knockout per ATF4. [Cfr.
Yuan F., et al. PNAS
USA – AOP doi: 10.1073/pnas.2215590120, 2023].
Demenza
Fronto-Temporale (FTD) e Demenza a Corpi di Levy (LBD): nuovi geni di rischio. Una delezione in TPCN1 identificata
come nuovo locus di rischio per la LBD; confermate le varianti di C9orf72
e MAPT quali alleli di rischio patogenetico per FTD/ALS, accanto a nuove
varianti patogeniche rare, individuate sia per FTD che per LBD, in un nuovo
studio condotto da Karri Kaivola
e colleghi. [Cfr. Kaivola K., et al. Cell Genomics 3, 100316, June, 2023].
Intelligenza
Artificiale (AI): Nuove applicazioni del generatore di immagini da testi. I generatori di immagini da testi
come DALL-E2, presentato per la prima volta nel luglio 2022, possono generare
centinaia di milioni di immagini catturate per illustrare dei testi e fornire
suggerimenti non solo ad artisti e urbanisti per realizzare idee ferme allo
stadio di nucleo concettuale privo di dimensione spaziale e materiale, ma anche
per supportare la chirurgia ricostruttiva. Secondo Mark Chen, il principale
ricercatore del progetto DALL-E2, i generatori di immagini costituiscono la più
stimolante delle nuove tecnologie AI dal tempo della traduzione delle lingue
naturali. [Brain, Mind & Life International, May
2023].
Appunti
di storia del tatuaggio e ragioni del suo rifiuto da parte delle maggiori
civiltà.
James Cook, un giovane tenente di vascello con competenze di matematica e cartografia
fu incaricato da Re Giorgio III di guidare una spedizione diretta nel Pacifico
meridionale e organizzata dalla Royal Society e dalla Royal Navy, allo scopo di
osservare il transito di Venere davanti al Sole e, soprattutto, di trovare prove
dell’esistenza della Terra Australis Incognita.
La missione, che durò dal 1768 al 1771, passò alla storia come primo viaggio
di James Cook. Leggiamo un brano dal giornale di bordo di Cook, del luglio
1769: “Uomini e donne si dipingono il corpo (tattow
come lo chiamano) facendo penetrare del colore nero sotto la pelle in modo che
rimanga indelebile. Qualcuno reca sul corpo figure umane, uccelli o cani, le
donne di norma hanno semplicemente un segno simile alla lettera Z su
ogni giuntura delle dita dei piedi e delle mani; anche gli uomini ce l’anno, e
le une e gli altri portano sulle gambe e sulle braccia varie figure come
circoli concentrici ed altro. In breve, questi disegni sono così vari, sia per
la quantità che per le posizioni in cui vengono eseguiti, che si può dire
dipendano interamente dal gusto di ciascun individuo”[1].
Questo
è probabilmente il resoconto più noto della pratica tribale del tatuaggio in
epoca moderna, ed evidenzia la totale mancanza di conoscenza della cultura di
queste popolazioni dell’emisfero australe da parte di James Cook, che considera
i tatuaggi dettati da gusto e capriccio, mentre oggi sappiamo che quelle figurazioni
obbedivano ad una grammatica dei tempi e dei luoghi, modulatrice dei significati
conferiti dal valore simbolico sostenuto dalle credenze.
Per
tatuaggio, come è noto, si intende una “alterazione artificiale permanente
dei tessuti cutanei, diffusa presso molte popolazioni, sia in connessione con
le iniziazioni puberali sia a puro fine ornamentale” (Treccani). Il termine è
entrato nel lessico comune attraverso gli studi antropologici, che hanno
diffuso forme verbali adattate nella lingua degli antropologi della parola
tahitiana tatau, che significa «incidere, colorare
la pelle». Da un punto di vista tipologico si distinguono due grandi categorie
in rapporto alla tecnica di esecuzione: tatuaggio per puntura, ottenuto mediante
l’introduzione nella soluzione di continuità cutanea di un pigmento di colore
bluastro o di altra tinta (diffuso in Polinesia, Africa settentrionale e India);
tatuaggio per cicatrici o scarificazione, ottenuto mediante profonde
incisioni della pelle del corpo o del viso, con l’introduzione nella ferita di
sostanze che ne ritardano la cicatrizzazione, aumentando il volume delle
cicatrici stesse (Treccani).
Lo
studio delle iscrizioni corporali ha decifrato i criteri adottati, prima ancora
dei significati simbolici: ogni sistema di iscrizioni prevede alcuni segni
basilari, che coincidono con i marchi dell’ingresso nella comunità e dell’appartenenza
a sezioni o gruppi all’interno dell’insieme comunitario; a questi si aggiungono
i tatuaggi specifici della storia del singolo, delle sue imprese e delle sue
vicende; infine, vi sono scritture votive, protettrici o guaritrici.
Colpiscono
le profonde ferite lasciate dai violenti riti di iniziazione sul corpo degli
Indiani delle Pianure. È interessante notare come in certe realtà tribali si sia
progressivamente evoluta la protezione da stati di necessità, pericoli e
malattie, inizialmente affidata a tatuaggi e poi trasferita ad amuleti da
portare addosso, liberando la superficie cutanea dall’obbligo all’indelebile
marchiatura[2].
Fin
dalle epoche più remote, come si è compreso da studi paleografici e
archeologici, nelle antiche civiltà è stato connotato negativamente il
tatuaggio, quale retaggio di una concezione rozza, primitiva e animalesca della
persona umana e, pertanto, si tatuavano i nemici catturati, risparmiati e ridotti
in schiavitù per segnalarne l’appartenenza, come si faceva per il bestiame, e i
delinquenti recidivi, perché potessero essere riconosciuti ed evitati.
Nelle
antiche civiltà del Bacino del Mediterraneo, le autorità intendevano proteggere
le persone oneste e ignare o, come diremmo oggi, la società civile dal rischio
di diventare vittima dei crimini dei pregiudicati, mediante lo stigma,
che consiste in genere in un tatuaggio indelebile su una parte esposta della
superficie cutanea, che diventerà, presso altri popoli nei secoli seguenti, o anche
oltre un millennio dopo, il marchio del boia. Presso i Greci, veniva
stigmatizzato il ladro fuggitivo col tatuaggio della lettera “delta”, iniziale
di drapétes, ossia “il fuggiasco”, impressa a
fuoco sulla fronte; il traditore veniva contrassegnato col “segno della volpe”,
la lettera d’infamia.
Gli
schiavi, presso alcuni popoli, erano tatuati dai padroni con la stessa procedura
e gli stessi contrassegni di proprietà adottati per il bestiame, per segnalare
alla comunità che si trattava di “beni posseduti” da quel particolare proprietario
e non di donne e uomini liberi[3].
Nel
539 a.C., nella notte tra il 5 e il 6 di ottobre, Ciro il Grande conquista la
città di Babilonia ponendo fine all’Impero neo-babilonese o caldeo (626-539 a.C.),
dove si parlava e si scriveva un idioma accadico. Una tavoletta babilonese,
proprio del 539 a.C., parla di una schiava del Tempio di Istar[4] a Uruk, su una cui mano era stata
tatuata la scritta: “per Nanaya e Istar di Uruk”[5].
È
importante conoscere questo uso del tatuaggio perché, seguendo questo filo di
senso nella diacronia storica, si giunge fino all’epoca contemporanea. Infatti,
la cultura greca, che esprimeva la massima attenzione per il corpo con le sue
pratiche igienistico-mediche e atletico-estetiche, considerava irrazionale e barbara
la deturpazione permanente della superficie corporea, oltre che pericolosa,
perché il danno della pelle poteva “indebolire l’organismo”[6]. I Romani aborrivano il cattivo
gusto del tatuaggio e la loro cultura, profondamente ellenizzata, conservava una
sensibilità naturale tendenzialmente avversa ad artifici fisici.
Il
tatuaggio riscoperto da Cook, poco per volta scompare come pratica tribale
priva di senso col progredire della civilizzazione di quei popoli. Dunque,
rimane l’uso come marchio di infamia impresso quale esecuzione di una condanna,
secondo una pratica molto diffusa nel XVII secolo e ancora in auge nel XIX,
quando Alessandro Dumas la menziona come timbro del boia sul corpo di Milady,
personaggio antagonista dei tre moschettieri; alcuni autori citano in proposito
la Lettera scarlatta o Purple letter di
Nathaniel Hawthorne, ma in quel caso la lettera “A” di “adultera”, che esponeva
la protagonista alla pubblica deprecazione, non era un tatuaggio.
Nel
Novecento, il marchio con una lettera è legato alle pagine più nere della
storia: la persecuzione nazista degli Ebrei, marcati con la “J” per Jude, e da parte del movimento croato ustascia di Ante
Pavlevic, alleato di fascisti e nazisti, che li
contrassegnava la “Z” di Zidov, il termine
serbocroato per Ebreo.
Negli
anni seguenti, la pratica del tatuaggio è rimasta molto strettamente legata al
crimine organizzato e più in generale alla delinquenza: in Italia, il tatuarsi è
stato ed è tuttora legato alla permanenza a scontare lunghe pene in carcere per
gravi delitti; i pregiudicati esibivano d’estate disegni e scritte cutanee
spesso con orgoglio, allo scopo di intimorire i rivali. Quando negli anni
Ottanta cominciarono a diffondersi fra gli sportivi, particolarmente nella
lotta, alcune associazioni sportive li proibirono proprio per il consolidato
legame nell’immaginario collettivo con la delinquenza.
Un
altro fattore che aveva limitato la diffusione dei tatuaggi negli ultimi
decenni del Novecento – abbiamo in particolare notizie per gli USA e per l’Italia
– era l’atteggiamento di rispetto del corpo direttamente ispirato o
indirettamente influenzato dalla cultura cristiana.
Per
i cristiani il corpo è tempio dello spirito e, in quanto tale, va rispettato: il
corpo viene consacrato insieme con lo spirito nel sacramento del matrimonio;
Gesù guarisce il corpo degli ammalati e monda la loro anima; il corpo mortale
risorgerà ricongiungendosi all’anima e, per questo, gli si dà cristiana sepoltura.
La vita è un dono divino e il corpo ne è la parte visibile: il rispetto del
corpo è rispetto della vita e il rispetto della vita è rispetto di Dio; il
corpo non è un oggetto da usare, ma la carne dell’anima, ossia materia vivente
che ritornerà viva per ricongiungersi a Dio dopo la morte, se non avrà scelto
la separazione del peccato con la fine eterna.
Ma
negli ultimi due decenni la moda – una moda che non passa più, a differenza
della maggior parte delle tendenze che durano qualche stagione – ha cancellato
il gusto e la sensibilità greco-romana, due millenni di concezione cristiana e
l’abitudine civile e razionale a esercitare una riflessione critica individuale
prima di aderire ciecamente agli imperativi della voga. [BM&L-Italia, maggio 2023].
La mente medievale alle origini del
mentale moderno e contemporaneo (XVI) è una tematica che stiamo sviluppando al Seminario sull’Arte
del Vivere (v. Note e Notizie 21-01-23 Notule; Note e Notizie 28-01-23 Notule; Note
e Notizie 04-02-23 Notule; Note e Notizie 11-02-23 Notule; Note e Notizie 18-02-23
Notule; Note e Notizie 25-02-23 Notule; Note e Notizie 04-03-23 Notule; Note e
Notizie 11-03-23; Note e Notizie 18-03-23 Notule; Note e Notizie 25-03-23
Notule; Note e Notizie 01-04-23 Notule; Note e Notizie 15-04-23; Note e Notizie
22-04-23; Note e Notizie 29-04-23; Note e Notizie 06-05-23) per spunti settimanali
di riflessione e discussione: qui di seguito si riportano quelli del sedicesimo
incontro.
“Complicato” è l’aggettivo più appropriato per
descrivere l’impressione che suscita in noi il mondo medievale nella sua
organizzazione sociale e politica in Europa: si dice complessa una struttura
che, pur articolata in modo non semplice, possa ricondursi ad uno schema
complessivo; in questo caso rileviamo un’eterogeneità in parte riconducibile a sistemi,
quali il sistema feudale, il sistema regale, il sistema ecclesiastico, in parte
riconducibile a realtà di poteri economico-politici locali interconnessi in
modo spesso non decifrabile. Una parte della difficoltà di decifrazione
sicuramente deriva dall’esistenza di una miriade di realtà, estesa dalle grandi
fazioni in lotta alle singole famiglie armate l’una contro l’altra, portatrici
di visioni differenti e contrastanti dell’ordine sociale e del potere
personale, che si alternano nel prevalere e nel soccombere.
Cerchiamo allora un filo di Arianna in questo labirinto,
in cui dei contadini per valore militare diventano cavalieri e, attraverso il
cavalierato possono sposare figlie di nobili, ossia discendenti di antichi
romani, e abitare in un castello, ma poi ritornare contadini perché il castello
viene conquistato da armati di una fazione contraria a quella del nobile
suocero. Un filo ci viene offerto da Jacques Le Goff: “Il feudalesimo è il
trionfo della regionalizzazione, della dispersione locale dei poteri. Due fenomeni
completano e correggono questo processo di feudalizzazione. Il primo è la
fioritura urbana che ha luogo tra il X e il XIV secolo. […] Il secondo è la
rinascita della potenza pubblica, dell’ascesa delle monarchie e la lenta genesi
degli Stati moderni secondo due modelli: il modello monarchico (in Inghilterra,
in Francia, nella penisola iberica, nella monarchia pontificia) e il modello
della Città-Stato (in Italia e, in minor misura, in Germania)”[7].
Questi due modelli non hanno in comune solo la
centralizzazione del potere ma anche la sua fondazione nella cultura: una
differenza importante col sistema feudale rurale che è centrato sul potere
delle armi. Le città italiane riconoscono all’arte un valore superiore alla
ricchezza e saranno le prime e le più numerose sedi di università. Nelle
campagne, dove l’analfabetismo è la regola, per secoli le persone pur dotate di
talento rimangono asservite e legate al destino sociale dei laboratores.
Solo quando gli artigiani rurali costituiranno “società di villaggio” ci sarà speranza
per il fabbro e il mugnaio di essere chiamati “messeri”. Al contrario, nella
realtà urbana un povero, anche un orfano allevato da religiosi, se è dotato di
talento artistico e diventa pittore, può partecipare al governo della città.
Dunque, in questi due modelli di centralizzazione
dell’amministrazione fondata sulla cultura, si sviluppa una nuova gerarchia
sociale non pianificata, che sfugge in parte alle strutture feudali. “E
tuttavia – precisa Le Goff – la monarchia e la Città-Stato (questa in minor
misura di quella) giocano su entrambi i tavoli: quello pubblico e quello
feudale”[8].
Questa chiave di lettura, soprattutto se la
integriamo con quella della dicotomia cristiano-barbara dell’incontro
precedente, contribuisce a chiarire alcune apparenti incongruità e
contraddizioni che rileviamo nelle narrazioni di fatti di quell’epoca.
Ma se vogliamo comprendere come sia possibile che,
cittadini della penisola e monarchici francesi, da una parte accomunino nello
stesso disprezzo feudatari e contadini, considerandoli villani, e dall’altra
si fregino di riconoscimenti nella scala di valori feudali, dobbiamo tener
conto dell’evoluzione dei rapporti politici così sintetizzata da Jacques Le Goff:
“Dopo aver resistito alla feudalizzazione insistendo
sul carattere unico, superiore, quasi sacro della monarchia, e aver fatto della
curia reale un centro di potere e di promozione sociale sempre più
importante, le monarchie sfruttano fino in fondo i vantaggi che il sistema
feudale può offrire al re in quanto signore supremo, in quanto sovrano. A partire
dal Duecento, è realmente possibile parlare di monarchia feudale in
Inghilterra, in Francia e in Aragona-Catalogna, nonché per il papato e per il
regno latino di Gerusalemme”[9].
Ma, prima di arrivare all’epoca delle monarchie
feudali, uno dei grandi problemi sommersi sotto il livello della coscienza
storica, in una società in apparenza monoculturale perché ufficialmente tutta
cristiana, è dato dalle innumerevoli rappresentazioni soggettive del mondo
circostante, spesso caratterizzate in Italia come immaginario sociale di
una tradizione familiare, di una fazione, di una consorteria, di un’alleanza, di
un’Arte – come paradigmaticamente avveniva a Firenze – in contrasto e conflitto
con altre rappresentazioni, e da non pochi vissuto quale scopo ideale da realizzare,
stabilendo un nuovo ordine sociale entro cui collocarsi come monarca assoluto o
profeta del bene. Anche se alle nostre orecchie questo programma suona più come
un sogno d’infanzia che come un entusiastico slancio giovanile, l’idea di
conquistare cuori, terre e fama in sella a un destriero e con la spada in pugno
era così frequente da aver costituito un prototipo letterario.
Il lento, lungo e imperfetto processo di
cristianizzazione di Franchi, Burgundi e altri Goti, continua ad essere al
centro del nostro interesse, perché la sua scoperta, la riscoperta, la
rilettura e le possibili analisi interpretative sono ancora poco note e
promettono di ridefinire alcuni stereotipi e concetti consolidati sulla società
medievale. Un grande ostacolo alla presa sulle coscienze, la spiritualità
cristiana lo incontrò nel campo della morale sessuale dei barbari: il peccato
originale come trasgressione al divieto divino di congiungersi carnalmente era
inconcepibile per quei popoli e, sebbene la maggioranza avesse accettato da
tempo il sacramento del battesimo, la castità, la gravità del peccato-reato di
adulterio e la completa astensione dalle pratiche sessuali di tradizione
tribale, erano rifiutate nella sostanza. Pertanto, la Chiesa cercava di
inculcare questi principi attraverso una maggiore severità penitenziale per
tali peccati.
Era costume di questi popoli nordeuropei che una
coppia di innamorati, di fronte all’opposizione dei genitori alla loro unione
sacramentale in matrimonio, inscenasse un rapimento della ragazza da parte del
ragazzo[10]. La
coppia, dopo aver consumato, si presentava all’autorità ecclesiale della
propria comunità parrocchiale dichiarandosi pentita, e chiedeva di poter
convolare a nozze. La Chiesa considerava l’accordo reciproco una ragione
necessaria e sufficiente alla celebrazione sacramentale, diventando così
alleata dei giovani la cui unione era osteggiata dai familiari.
Ma spesso si trattava di rapimenti veri con lo
stupro della ragazza. A volte erano atti delinquenziali gratuiti, altre volte
un mezzo per obbligare al consenso la giovane. La Chiesa allora cominciò a
indagare per scoprire se la fanciulla rapita fosse ancora sotto minaccia e di
fatto non consenziente. La comunità cristiana prese a intervenire
sistematicamente in difesa e in aiuto della rapita, stabilendo che il rapitore
doveva rendere conto alla comunità del suo operato. Nel Nord della Gallia comparve
un’usanza quantomeno curiosa, detta Stefgang[11]. Si trattava
di un vero e proprio rito pubblico. In breve, quando le famiglie di due giovani
fuggiti non concordavano sulla natura della fuga e, in particolare, se si fosse
trattato di un rapimento per ottenere un rapporto sessuale non consenziente o
se la fanciulla amasse il giovane e lo volesse quale marito, si allestiva una
scena simbolica di grande potenza drammatica: si piantavano in terra due grandi
pali a una discreta distanza tra loro e dietro ciascuno dei due si collocavano
i membri delle due parentele; la ragazza era invitata a porsi nel mezzo e, al
culmine del rito, doveva scegliere se dirigersi verso la propria famiglia o
verso quella del ragazzo[12]. Se
sceglieva la propria famiglia, il giovane veniva arrestato e doveva pagare l’ammenda
per ratto o stupro; se sceglieva quella del ragazzo, allora tutti i presenti avviavano
i festeggiamenti per le nozze.
Michel Rouche sottolinea
due aspetti di questo rito laico: la necessità della pubblica testimonianza
dell’esistenza del consenso e l’autonoma decisione della ragazza circa la
propria vita, che Rouche definisce “un primo passo
verso una certa uguaglianza”[13]. [BM&L-Italia,
maggio 2023].
Notule
BM&L-13 maggio 2023
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Società Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International
Society of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze,
Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale
94098840484, come organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] James Cook, Journals.
J. C. Beaglehole, I, Hakluyt Society L 1961, 19692.
Un compagno di
viaggio di Cook, S. Parkinson, annota nel suo diario come lui ed altri si fossero
fatti per prova segnare un braccio.
[2] Cfr. Giorgio Raimondo Cardona, Storia
Universale della Scrittura, p. 80. CDE (licenza Mondadori), Milano 1987.
[3] Cfr. Giorgio Raimondo Cardona,
op. cit., idem.
[4] Ištar
o Ishtar è il nome semitico della dea sumerica Innin,
Inanna (da Ninannak o Ninanna, ovvero “signora del cielo”), considerata la
più importante divinità femminile mesopotamica. La città di Uruk era il centro
del suo culto, dove era sito il suo famoso tempio detto “casa del cielo”.
[5] Cfr. Giorgio Raimondo Cardona,
op. cit., idem.
[6] I medici ippocratici non conoscevano
gli agenti patogeni microbiologici, ma l’osservazione delle ferite aveva insegnato
loro che la soluzione di continuità cutanea poteva portare gravi conseguenze
con febbre e complicanze locali (infezione). La pelle per i Greci doveva essere
rispettata e, se esposta, protetta sempre con olii.
[7] Jacques Le Goff, Il Medioevo –
Alle origini dell’identità europea, pp. 28-29, Editori Laterza, Roma-Bari
2002.
[8] Jacques Le Goff, op. cit., p. 29.
[9] Jacques Le Goff, op. cit., pp.
29-30.
[10] È curioso notare che queste “fughe”
per aggirare il mancato consenso dei genitori in Italia nel Novecento erano
considerate un retaggio della sottocultura contadina meridionale.
[11] Michel Rouche,
L’Alto Medioevo occidentale in La vita privata dall’Impero romano all’anno
Mille (a cura di Philippe Ariès & Georges Duby) p. 404, CDE (su licenza G. Laterza e figli) Milano
1986.
[12] La concezione del matrimonio e
la ritualità gallo-romana contrapposte a quelle franco-germaniche in epoca
cristiana sono oggetto di un lungo elenco di studi di storia
socio-antropologica, dei quali citiamo solo A. Oger-Leurent,
conceptions du mariage en Gaulle aux époques mérovingienne et carolingienne: pratiques franques et doctrine chrétienne – Tesi di dottorato all’Università di Lille
III, relatore prof. Michel Rouche, Lille 1984.
[13] Michel Rouche,
L’Alto Medioevo occidentale, op. cit., p. 404.